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Italia quinta al mondo per export, +48% dal 2015

Dal 5 al 25 aprile di quest’anno saranno circa 300 le iniziative organizzate in tutta Italia per celebrare la giornata del Made in Italy, giornata che si è scelto di celebrare il 15 aprile, data della nascita di Leonardo Da Vinci.

Nel corso della presentazione della giornata del Made in Italy Adolfo Urso, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha dichiarato che tra il 2015 e il 2023 le esportazioni italiane sono aumentate in valore del 48%. 
Il ministro ha anche sottolineato che il nostro Paese ora è il quinto a livello globale per le esportazioni, superando nella classifica la Corea del Sud.

La qualità italiana nei settori delle “quattro A” 

Il ministro Urso ha definito i prodotti italiani “belli, buoni, ben fatti e anche sostenibili”, ribadendo la qualità italiana nei cosiddetti settori delle quattro A, ovvero, alimentare, abbigliamento, arredo e automazione.

“Il Made in Italy – ha affermato il ministro – non è un modello di produzione ma un modello di vita. L’eccellenza della nostra produzione si identifica nelle quattro I che sostengono il nostro modello, che corrispondono all’Identità, la riconoscibilità dei manufatti italiani nel mondo, l’Innovazione, alla quale sono dedicate una grande quantità di risorse del PNNR, l’Istruzione e l’Internazionalizzazione”.
A proposito dell’istruzione, il ministro Urso ha ricordato l’importanza delle competenze dei lavoratori delle imprese italiane, che spinge “chi acquista le nostre imprese a continuare a produrre nel nostro Paese”.

La manifattura torna in crescita dopo un anno

L’indice Pmi manifatturiero dell’Italia torna a segnalare crescita dopo un anno, con una lieve espansione sia degli ordini sia della produzione. L’indice Hcob Italy Manufacturing Purchasing Managers Index a marzo è risultato pari a 50,4, in crescita rispetto a 48,7 di febbraio.

Un risultato che conferma come per la prima volta dal marzo 2023 l’indice torni sopra la soglia dei 50 punti, quella che separa la contrazione dall’espansione dell’attività manifatturiera.
Il miglioramento dell’indice riflette, oltre ad output e ordini, questi ultimi in rialzo dopo un anno, il miglioramento nelle condizioni di occupazione, mentre un freno al Pmi arriva dagli acquisti, dal momento che le imprese stanno continuando a ricorrere alle scorte.

“Rispetto ai mesi precedenti la produzione ha visto un salto significativo”

Il lieve miglioramento delle vendite totali a marzo deriva in larga parte dalla domanda da parte di clienti ‘domestici’, riporta Ansa, mentre la domanda dall’estero è in lieve calo.
“Il settore manifatturiero italiano può tirare un sospiro di sollievo”, ha commentato Tariq Kamal Chaudhry, economista della Hamburg Commercial Bank che elabora l’indice in collaborazione con S&P Global.

“Dopo quasi un anno di difficoltà il Pmi Hcob è uscito dalla zona di contrazione, e con un valore di 50,4 l’Italia si unisce alla Spagna come seconda, fra le quattro maggiori economie europee, nel registrare espansione – ha spiegato Tariq Kama Chaudhry -. La produzione ha visto un salto significativo rispetto ai mesi precedenti”.

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Cybersecurity: le aziende investono oltre 100mila dollari all’anno per la formazione

Oltre il 70% delle aziende spende ogni anno oltre 100.000 dollari per la garantire l’aggiornamento dei propri dipendenti nel campo della cybersecurity.
Tuttavia, le aziende evidenziano anche la mancanza di corsi mirati a coprire nuove aree di interesse nel mercato della formazione, e dichiarano che i training non sempre portano i risultati attesi.

Emerge dalla ricerca di Kaspersky dal titolo The portrait of the modern Information Security Professional, che inoltre esamina il problema della carenza di personale a livello globale nel campo della cybersecurity, analizzando le motivazioni e identificando i metodi di valutazione e aggiornamento della workforce aziendale dedicata alla sicurezza IT.

Per il 39% dei professionisti la formazione aziendale non è sufficiente

Secondo la ricerca, le aziende per l’aggiornamento dei propri team di cybersecurity investono in modo significativo. In particolare, il 43% spende abitualmente tra i 100.000 e i 200.000 dollari all’anno, il 31% addirittura più di 200.000 dollari, mentre il restante 26% investe abitualmente meno di 100.000 dollari.

Inoltre, la ricerca ha rivelato che il 39% dei professionisti della cybersecurity (un dato che sale al 42% in Europa) ritiene che la formazione aziendale non sia sufficiente. Per essere competitivi sul mercato e aggiornare le conoscenze e le competenze, i professionisti sono infatti disposti a frequentare ulteriori corsi di formazione a proprie spese. Tuttavia, osservano che il mercato della formazione fatica a stare al passo con un settore in rapida evoluzione e non riesce a fornire in tempo i programmi di aggiornamento necessari.

Pochi corsi affrontano i nuovi ambiti di interesse

La ricerca mostra che la scarsità di corsi che coprono nuovi ambiti di interesse (49%) è il problema principale per chi cerca una formazione sulla cybersecurity.
Il 47% degli intervistati afferma poi che i tirocinanti tendono a dimenticare quanto appreso perché non hanno avuto la possibilità di applicare le conoscenze appena acquisite, quindi per loro i corsi si sono rivelati inefficaci.

E per il 45% degli operatori risulta complicato richiedere prerequisiti formativi specializzati, come la codifica e la programmazione avanzata, che non sono stati specificati durante la fase di pre-registrazione.

Migliorare le competenze interne più efficace di cercare sempre nuovi candidati

“Con un panorama di minacce in costante evoluzione, le aziende dovrebbero migliorare continuamente le competenze del proprio personale responsabile della cybersecurity per essere preparate ad affrontare sofisticati attacchi informatici – commenta Veniamin Levtsov, VP, Center of Corporate Business Expertise di Kaspersky -. Lo sviluppo di specialisti di alto profilo all’interno dell’azienda e la creazione di competenze interne possono essere una strategia efficace per le organizzazioni che vogliono fidelizzare i propri dipendenti e permettergli di crescere professionalmente, invece di andare costantemente alla ricerca di nuovi candidati e verificare il loro background professionale e le competenze pratiche”.

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Mercato immobiliare: sono 235.725 le compravendite nel II trimestre 2023  

Sono 235.725 le convenzioni notarili di compravendita e gli altri atti traslativi a titolo oneroso per unità immobiliari nel II trimestre 2023.
La variazione percentuale sul dato destagionalizzato è di -4,1% rispetto al trimestre precedente, mentre la variazione su base annua sul dato non destagionalizzato è di -16,0%.

Nel confronto congiunturale l’abitativo segna variazioni percentuali negative in tutte le ripartizioni geografiche del Paese (Nord-Ovest -5,9%, Nord-Est -5,1%, Sud -4,1%, Centro -2,4%), fatta eccezione per le Isole, che rimangono sostanzialmente stabili (+0,1%).
Il settore economico è in diminuzione su tutto il territorio nazionale. Nel Nord-Ovest -5,4%, nelle Isole -3,2%, al Centro -3,0%, nel Sud -0,6% e nel Nord-est -0,4%.

Il 94,0% delle convenzioni stipulate riguarda i trasferimenti di proprietà di immobili a uso abitativo (221.514), il 5,7% quelli a uso economico (13.373) e lo 0,4% le convenzioni a uso speciale e multiproprietà (838).

In un anno variazioni percentuali negative in tutto il Paese

Rispetto al II trimestre 2022 le transazioni immobiliari diminuiscono del 16,7% nel comparto abitativo e dell’1,5% nell’economico.
A livello territoriale il settore abitativo segna, su base annua, variazioni percentuali negative in tutto il Paese: Nord-Ovest -21,6%, Centro -17,8%, Sud -14,8%, Nord-Est -13,8% e Isole -5,5%. 

Il settore economico diminuisce nel Nord-Ovest (-6,5%), nel Centro (-6,4%) e nelle Isole (-4,2%), mentre aumenta nel Nord-Est (+6,2%) e al Sud (+4,9%). Nel settore abitativo le compravendite si riducono sia nei grandi sia nei piccoli centri (rispettivamente, -20,9% e -13,5%), in quello economico, diminuiscono nei grandi centri (-6,6%) e aumentano nei piccoli (+2,1%).

Mutui: -7,3% rispetto al I trimestre

Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono 78.512. La variazione percentuale calcolata sul dato destagionalizzato è di -7,3% rispetto al trimestre precedente, mentre la variazione su base annua calcolata sul dato non destagionalizzato è di -35,3%.

Il calo interessa tutto il territorio su base sia congiunturale (Sud -9,5%, Nord-Ovest -8,4%, Nord-Est -7,6%, Isole -6,3% e Centro -3,9%) sia annua (Nord-Ovest -40,6%, Centro -36,2%, Sud -32,5%, Nord-Est -30,4%, Isole -27,6%), le città metropolitane -39,5% e i piccoli centri -31,7%.

Primi sei mesi del 2023: mercato a -13,7%

Nel I semestre 2023 il mercato immobiliare, con 446.416 convenzioni notarili di compravendita, registra un andamento in ribasso rispetto allo stesso periodo del 2022 (-13,7%). La flessione interessa il settore abitativo (-14,4%), con variazioni negative superiori alla media nazionale nel Nord-Ovest (-19,3%) e al Centro (-17,0%), più lieve nel Nord-est -11,1%, Sud -10,2% e Isole -5,2%.

Il settore economico è stabile a livello nazionale, mentre registra un andamento differenziato per area geografica, con una crescita al Sud (+5,2%) e nel Nord-Est (+4,6%) e una contrazione al Centro (-4,2%), nel Nord-Ovest (-3,1%) e nelle Isole (-1,8%).
Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare (152.094 nel I semestre 2023) sono in forte calo (-33,3%). Soprattutto al Nord-ovest (-38,7%) e il Centro (-35,1%), più contenuta al Sud -29,2%, Nord-Est -28,1% e Isole -26,6%.

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Spesa in contenuti digitali: nel 2023 vale 3,6 miliardi di euro

A quanto emerge dall’Osservatorio Digital Content, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, la spesa dei consumatori italiani in contenuti digitali d’informazione e intrattenimento nel 2023 raggiunge 3,6 miliardi di euro, +5% rispetto al 2022.

A contribuire allo sviluppo, il rinnovato interesse da parte degli utenti per una vasta gamma di contenuti digitali. In particolare, l’informazione, i video di intrattenimento e i contenuti musicali.
Il mercato dei contenuti digitali si articola in due macro-componenti: la spesa degli utenti per fruire dei contenuti attraverso sottoscrizione di abbonamenti o l’acquisto di singoli contenuti, e la raccolta pubblicitaria.

Il Video Intrattenimento prede il volo

Il settore più rilevante in valore assoluto è il Video Intrattenimento che pesa il 44% della spesa totale (circa 1,6 miliardi), e cresce anno su anno del +7% in termini di spesa del consumatore e del +14% per la raccolta pubblicitaria. Influiscono sui numeri del settore l’aumento dei prezzi, i nuovi modelli di abbonamento ibridi, che includono anche annunci pubblicitari, e il potenziato contrasto alla pirateria.

Cresce (+18%) anche il settore dell’Audio Digitale (musica, audiolibri, podcast), seppur rappresenti solo il 9% del totale del mercato (circa 325 milioni).
Informazione ed eBook rimangono invece ancora poco rilevanti in termini assoluti (5% della spesa totale, 170 milioni). Mentre il Gaming, grazie alla diffusione di consolle digital only, torna a crescere (+2%) coprendo il 42% della spesa (oltre 1,5 miliardi).

Le tendenze dei consumatori

Secondo i dati BVA Doxa, nel 2023 i contenuti più fruiti dagli utenti italiani (80%) sono informazione, video di intrattenimento e contenuti musicali, seguiti da riviste, videogiochi e podcast. Seppur eBook e audiolibri catturino l’interesse solo di circa un terzo del campione, insieme ai podcast risultano quelli con il maggiore potenziale di crescita nel prossimo futuro.

I consumatori italiani dichiarano che il tempo dedicato ai contenuti digitali rimarrà stabile nei prossimi 12 mesi.
I video di intrattenimento on-demand risultano centrali in termini di spesa, con poco meno dei due terzi di consumatori italiani che fruiscono di questo contenuto a pagamento. Nonostante la maggioranza intenda mantenere costante il budget mensile, la tendenza e di aumentare, seppur in modo contenuto, piuttosto che ridurre la spesa, specialmente nell’ambito informazione e audiolibri.

I trend tecnologici emergenti

Il concetto di Web3 rende possibile lo sviluppo di nuove modalità di distribuzione e commercializzazione dei contenuti digitali. Alcuni esempi di impatti tangibili potrebbero essere la ridefinizione del concetto di proprietà digitale, una maggiore tracciabilità e trasparenza nella filiera associate all’idea di equo compenso per i differenti attori, e la creazione di mercati secondari.

L’AI generativa, nel 2023 ha avuto la sua consacrazione, e l’industria dei contenuti digitali si sta interrogando su quale sia il perimetro per il suo utilizzo. Per quanto riguarda il metaverso, si è invece assistito a una riduzione degli investimenti, anche a fronte di un cambio di focus proprio verso il tema dell’AI.

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Conto trimestrale delle Pubbliche Amministrazioni, famiglie e profitti delle società

Nel terzo trimestre del 2023 il quadro della finanza pubblica ha mostrato un miglioramento per l’indebitamento, e rispetto al terzo trimestre dell’anno precedente, una pressione fiscale in diminuzione.
Nello stesso periodo, dopo la brusca caduta del quarto trimestre 2022, il potere d’acquisto delle famiglie ha proseguito la ripresa. Tale ripresa, iniziata nel primo trimestre del 2023, era stata interrotta dalla lieve flessione del trimestre successivo.

La stessa dinamica si è osservata per la propensione al risparmio, che tuttavia è rimasta molto al di sotto dei livelli pre-Covid.
Le società non finanziarie hanno poi registrato la terza flessione consecutiva della quota di profitto, ma di minore intensità rispetto alle precedenti. Analogamente, è proseguita la diminuzione del tasso di investimento, iniziata nel quarto trimestre del 2022.

Indebitamento netto in rapporto al Pil pari a -5%

Il Conto delle Amministrazioni pubbliche (AP) e le stime relative alle famiglie e alle società sono parte dei Conti trimestrali dei settori istituzionali.
I dati relativi alle Amministrazioni pubbliche sono espressi in forma grezza, mentre quelli relativi alle famiglie e alle società in forma destagionalizzata.

Dal Conto emerge come nel terzo trimestre 2023 l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil sia stato pari al -5,0%. Nello stesso trimestre del 2022 era pari al -9,4%.

Pressione fiscale al 41,2%, -0,2% rispetto al III trimestre 2022

Il saldo primario delle Amministrazioni pubbliche, l’indebitamento al netto degli interessi passivi, è risultato anch’esso negativo, con un’incidenza sul Pil del -1,2%. Nel terzo trimestre del 2022 era pari a -5,6%.
Il saldo corrente delle Amministrazioni pubbliche è stato positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,1% (-1,2% nel terzo trimestre del 2022).

La pressione fiscale è stata pari al 41,2%, in riduzione di 0,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è invece aumentato dell’1,8% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dell’1,2%.

Quota di profitto società non finanziarie: -0,7%

La propensione al risparmio delle famiglie italiane è stimata al 6,9%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al secondo trimestre del 2023.
Inoltre, il potere d’acquisto delle famiglie consumatrici è cresciuto dell’1,3%, rispetto al trimestre precedente. Questo, a fronte di un aumento dei prezzi pari al +0,5%.

Quanto alle imprese, la quota di profitto delle società non finanziarie, stimata al 42,5%, è diminuita di 0,7 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. E il tasso di investimento delle società non finanziarie, pari al 22,2%, è diminuito di 0,4 punti percentuali rispetto al secondo trimestre dell’anno appena trascorso.

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Abbigliamento: gli italiani comprano online. In 5 anni meno 9mila attività 

Tra il 2019 e il 2023 il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11%.
Una frenata che ha inciso pesantemente sulle imprese individuali, pari al 53% del totale del comparto, e che negli ultimi cinque anni hanno registrato una diminuzione superiore al 12%, pari a -5.891 unità in termini assoluti.

Come mostra la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere, nell’ultimo quinquennio il numero di negozi di abbigliamento è sceso di oltre 9mila unità, attestandosi al 30 settembre scorso leggermente al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali. E la colpa è anche dell’e-commerce.

Negozi messi a dura prova lungo lo Stivale

Si tratta infatti di una dinamica, che secondo l’associazione delle Camere di commercio guidata da Andrea Prete, riflette anche la forte crescita del commercio online, con sempre più italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate.

Insomma, pandemia, cambiamenti nelle abitudini di consumo e fiammate inflazionistiche stanno mettendo a dura prova i negozi di abbigliamento lungo lo stivale. 
E a livello territoriale l’immagine è di un’Italia con meno vetrine in tutte le venti regioni, a eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa più contenuta in termini percentuali.

Lazio, Lombardia e Toscana -4.272 attività

In tutte le altre regioni, a partire da Lazio, Marche, Toscana e Friuli Venezia Giulia, si registrano perdite superiori al 10%.
Lazio, Lombardia e Toscana sono invece le regioni in cui la contrazione degli esercizi è maggiore in termini assoluti. Le tre regioni, infatti, determinano quasi la metà della variazione negativa registrata a livello nazionale: -4.272 attività nel periodo in esame, pari al 46% del totale.

A livello provinciale, le variazioni percentuali più importanti si registrano al Centro-Nord.
A Roma, Ancona, Ferrara e Rieti per il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento si contano diminuzioni superiori al 20% nell’arco dell’intero periodo considerato.

Componenti femminili e giovanili più penalizzate

Qualche nota positiva arriva dal Sud, dove Crotone, Ragusa e Siracusa sono le uniche province in cui la variazione di attività dell’abbigliamento nel quinquennio è positiva, rispettivamente, +1,6% e +0,5%.
Ma il declino nei cinque anni ha interessato fortemente le componenti femminili e giovanili.

Rispettivamente, è di oltre 4.700 e 2.500 negozi la perdita registrata nel settore in termini assoluti, corrispondente a una variazione percentuale negativa pari al 10% per le imprese ‘rosa’ e oltre il 26% per quelle under35.
Uno scenario sempre negativo, ma meno significativo in termini assoluti, risulta anche quello delle imprese straniere (10% sul totale del settore), dove sono state estromesse per sempre dal mercato circa 1.000 attività (-10,4% nel periodo).

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Sostenibilità: il sentiment degli italiani verso i retailer non food

Quanto conta la sostenibilità nelle scelte d’acquisto dei consumatori italiani, e quando un prodotto non food è considerato sostenibile?

Secondo i risultati dell’ultima edizione dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy, un’azienda è considerata sostenibile se realizza prodotti riciclabili/facilmente smaltibili (59,9%), se utilizza energia da fonti rinnovabili (45,9%) e garantisce condizioni di lavoro e remunerazioni eque ai lavoratori (37,9%).
Le altre caratteristiche indicate riguardano l’ottimizzazione e l’efficientamento dell’uso delle risorse ambientali durante la produzione (37,3%), la produzione a basso impatto ambientale (34,0%), l’uso di packaging riciclabili/riciclati (32,2%), l’ottimizzazione o la compensazione delle emissioni di CO2 (30,8%), la trasparenza e la tracciabilità in tutte le fasi di produzione e lavorazione (19,0%).

Il fattore prezzo

Ma quando si tratta di scegliere quale prodotto sostenibile acquistare, gli italiani considerano soprattutto il ridotto consumo di risorse naturali e le basse emissioni durante il ciclo di produzione e distribuzione (39,3%), le modalità di smaltimento (38,4%), e la possibilità di riciclo/riuso del prodotto o dei suoi componenti (37,5%).

Quanto al fattore prezzo, circa 2 italiani su 3 si dichiarano disponibili a pagare di più per un prodotto sostenibile, ritenendo accettabile un incremento di prezzo del 5%-10% su quello standard, con picchi del 20% per bricolage (18,8%) ed elettronica di consumo (18,2%).
Al contrario, i prezzi più alti dei prodotti sostenibili diventano una barriera all’acquisto per alcuni comparti, quali casalinghi e tessile casa (39,9%), edutainment (39,7%), abbigliamento e calzature (37,2%).

I canali di acquisto

Guardando invece ai canali di acquisto, gli italiani che frequentano i punti vendita fisici sono mediamente soddisfatti dello spazio e dell’attenzione che i retailer dedicano ai temi della sostenibilità, ma con margini di miglioramento.
Il 54,9% degli intervistati dà una valutazione intermedia, e il 39,3% alta, ma i pareri sono molto diversi in base ai comparti e al canale considerato.

Ampio è anche il range dei fattori che rendono ‘virtuoso’ un negozio fisico sul fronte della sostenibilità.
Tra essi, in una visione trasversale alle categorie merceologiche, spiccano l’utilizzo di materiali riciclabili per le shopper e gli imballaggi (36,6%), l’assortimento di prodotti pubblicizzati come a basso impatto ambientale (33,7%), la vendita di prodotti in materiale riciclato (28,4%), e il ritiro gratuito di prodotti usati da sostituire (26,5%).

Etichette: poche informazioni, meglio i QR Code

Nei maggiori comparti merceologici analizzati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy emerge, inoltre, l’esigenza degli italiani di ricevere più informazioni, e in modo più comprensibile e semplice, sulla sostenibilità dei prodotti.
Infatti, il 24% cerca sull’etichetta informazioni sulla sostenibilità, ma non le trova, e il 23% le ritiene poco chiare o comprensibili.
Per poter accedere alle informazioni sulla sostenibilità il metodo preferito è quello digitale, tramite QR Code o link al sito del produttore.

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Tech & Durables, un mercato tra incertezza e opportunità

A livello globale la domanda di prodotti Tech & Durables continua a rallentare: il mercato subisce gli effetti del contesto macro-economico, dell’eccesso di scorte e della saturazione della domanda collegata alla crescita record degli scorsi anni. Nella prima metà del 2023 tutti i comparti della Tecnologia di consumo registrano un calo dei ricavi, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, il settore IT e il Piccolo Elettrodomestico rimangono sopra i livelli pre-pandemici. Nello stesso periodo il mercato globale registra una contrazione del -6,3% a valore, con un fatturato di 390 miliardi di dollari. GfK prevede per l’’ntero 2023 una contrazione a valore del -3,4%.

In Italia contrazione del -4,9%

Nei primi sei mesi del 2023 in Italia il mercato della Tecnologia di Consumo segna un trend negativo a valore (-4,9%) e un fatturato di 7,3 miliardi di euro. Dopo la crescita degli ultimi anni, anche il mercato italiano sta rallentando, ma non in tutti i settori. La tendenza negativa è legata principalmente dalla performance dell’Audio-Video (-34%) e dell’Information Technology (vendite a valore -8%).
La Telefonia, il settore più importante per fatturato, registra un trend positivo (+3%) e crescono anche i comparti Grande Elettrodomestico e Piccolo Elettrodomestico (rispettivamente +6% e +4%). Le vendite online rimangono stabili intorno al 26% del fatturato, ma solo la fine dell’anno dirà quanto cresceranno a seguito dei grandi eventi promozionali che generalmente spingono gli acquisti in rete nel Q4.

Prezzi in aumento, domanda in calo

Secondo lo studio globale GfK Consumer Life, inflazione e prezzi elevati sono tra le preoccupazioni principali per il 35% dei consumatori a livello internazionale. Questo è anche uno dei motivi principali dietro alla contrazione della domanda di prodotti Tech, dove i prezzi medi a livello globale sono aumentati notevolmente rispetto ai livelli pre-pandemici: +29% a giugno 2023 rispetto a gennaio 2020. Il rallentamento del mercato T&D varia comunque da regione a regione, a causa delle differenze nel potere d’acquisto e nei livelli di prezzo. Così, mentre l’Europa occidentale e i Paesi sviluppati dell’Asia registrano una contrazione delle vendite a valore (rispettivamente -6% e -11%), Europa orientale e Medio Oriente continuano a crescere.

Sostenibilità e semplificazione guidano la domanda

Brand e Retailer devono puntare su trend a lungo termine in grado di attirare i consumatori. I prodotti che stanno continuano a crescere nonostante le difficoltà sono quelli che si caratterizzano per efficienza energetica e sostenibilità, maggiore praticità e flessibilità o caratteristiche premium a prezzi accessibili.
Un altro trend di lungo periodo che influenza positivamente il mercato globale è il desiderio di flessibilità dei consumatori, a causa delle postazioni di lavoro più piccole e del fenomeno workation. Inoltre, i modelli di fascia alta continuano a performare meglio della media del mercato, soprattutto nell0Elettronica di consumo. Ad esempio, mentre il mercato TV nel complesso è in calo (-15%), i televisori di fascia alta da oltre 75 pollici crescono del +5% a livello globale.

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Economia: crescita a 3,7% nel 2022. Italia resiliente, ma rischi ancora elevati

Lo scenario tratteggiato dal comitato esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, a conclusione della consultazione Article iV con l’Italia, evidenzia l’aumento dei prezzi al consumo, in gran parte a causa della crescita dei prezzi dell’energia, e il peggioramento delle condizioni finanziarie. I rendimenti dei titoli di Stato italiani risentono dell’inasprimento della politica monetaria.
Nel 2022 però l’economia italiana cresce del 3,7%, resistendo agli effetti della guerra Russia-Ucraina. Aumentano poi consumi privati, grazie alla ripresa dell’occupazione, al turismo vivace e al sostegno fiscale del potere d’acquisto reale. La crescita dei servizi e delle costruzioni compensa inoltre la debolezza del settore manifatturiero, in particolare nelle industrie ad alta intensità energetica colpite dai prezzi elevati dell’energia.

Mercato del lavoro: forte performance, ma prospettive incerte

Il mercato del lavoro registra una forte performance, i salari nominali aumentano, ma quelli reali diminuiscono. Le riserve di capitale e di liquidità delle banche rimangono sostanzialmente stabili a livelli confortevoli, e i crediti deteriorati diminuiscono ulteriormente. Ma, avverte il Fmi, a fronte delle prospettive incerte per l’economia e del futuro andamento della politica monetaria i rischi rimangono elevati. L’ampio sostegno politico e l’aumento dei costi degli interessi mantengono i disavanzi fiscali molto elevati. Il rapporto debito pubblico/Pil è in diminuzione, ma rimane molto elevato. Una popolazione in età lavorativa in calo potrebbe ridurre la crescita a lungo termine.

Nel 2023 fase di crescita più lenta, ma rischi al ribasso

Secondo le stime del Fmi la crescita dovrebbe entrare in una fase più lenta e i rischi al ribasso dominano le prospettive. Si prevede che la crescita si modererà all’1,1% nel 2023 e allo 0,9% nel 2024, per poi riprendere temporaneamente all’1,1% nel 2025. Si prevede inoltre che l’inflazione complessiva diminuirà drasticamente al 5,2% nel 2023 e al 2,5% nel 2024, trainata dal calo dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari. Un inasprimento più brusco della politica monetaria, avverte il Fmi, potrebbe trasmettersi in modo asimmetrico all’Italia e aumentare ulteriormente i costi di finanziamento, mentre il rinnovato stress finanziario globale potrebbe ridurre la disponibilità di finanziamenti, causando un ridimensionamento della spesa pubblica e privata, e riaccendendo le preoccupazioni sui legami sovrano-banca-società.

Attuare tempestivamente il Pnrr e concentrarsi sulle riforme

Attuare tempestivamente ed efficacemente il Pnrr è la sollecitazione contenuta nel report conclusivo del Fmi: “Le politiche che rallentano la riduzione del debito pubblico o i ritardi prolungati nella ricezione degli esborsi di NextGenerationEU (NGEU) potrebbero sollevare problemi di finanziamento. La crescita potrebbe essere influenzata negativamente da un nuovo balzo dei prezzi dell’energia, dalla frammentazione del commercio estero e degli investimenti o da un calo generalizzato della domanda esterna”.
È necessario quindi, riporta Adnkronos, concentrarsi su riforme strutturali ambiziose per aumentare produttività e crescita potenziale, migliorare la sicurezza energetica e soddisfare gli obiettivi climatici. Importante, poi, ridurre decisamente il debito pubblico. 

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L’Italia nel 2023: un paese che resiste a pandemia e choc energetico

L’Italia si dimostra un paese capace di resistere alla pandemia prima e allo choc energetico, con il conseguente rialzo dei prezzi, dopo. Una tendenza positiva che sembra continuare anche nel 2023 e nel 2024, seppur con percentuali più contenute.
La crescita del Pil nel 2022 è infatti del +3,7% (tra le maggiori economie europee seconda solo alla Spagna, e maggiore rispetto a Francia e Germania) trainata soprattutto da costruzioni e servizi. Insomma, l’Italia che emerge dal Rapporto annuale dell’Istat per il 2023 è nel complesso resiliente. Sono però diversi gli aspetti su cui il paese deve compiere grossi passi in avanti, anche alla luce delle direttrici indicate dal PNRR e della sua progressiva attuazione.

Imprese: innovazione, ricerca e sviluppo sono fondamentali

Nel mondo imprenditoriale, ancora caratterizzato dalla forte prevalenza di Pmi (solo l’1% delle realtà imprenditoriali è costituto da grandi aziende), diventano di fondamentale importanza innovazione, ricerca e sviluppo.
In base alle analisi dell’Istituto di statistica, le imprese che innovano registrano una produttività maggiore del 37%, e se si aggiunge la ricerca e sviluppo si arriva a un +44%. L’altro nodo critico è l’inclusione dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro.
Su questo fronte si registrano ancora le percentuali più basse d’Europa. Un dato per tutti: la quota dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, è al 20%, pari a 1,7 milioni di persone (dopo di noi solo la Romania).
L’Istat rileva peraltro come le donne che raggiungono i livelli più elevati di istruzione rimangano più a lungo al lavoro anche dopo aver avuto figli.

Partecipazione al lavoro: serve un approccio qualitativo

La partecipazione al lavoro si lega direttamente, come dimostrato dai dati dell’Istituto, a quello della natalità (lo scorso anno si è registrato il record storico negativo inferiore a 400 mila nascite) e dell’invecchiamento demografico, che modificano direttamente la struttura del mercato lavorativo. L’Istat propone un approccio qualitativo più che quantitativo al welfare, per consentire alle nuove generazioni di fare scelte genitoriali e progettare il futuro. Grande attenzione viene data nel Rapporto anche al tema dell’ambiente, con le criticità legate soprattutto alla gestione delle risorse idriche, e della transizione ecologica, che può diventare un’ottima opportunità di inclusione lavorativa anche per donne e giovani.

Sì a transizione ecologica se sostenibile anche socialmente 

La transizione ecologica va però guidata in maniera tale da essere socialmente sostenibile e da non acuire le disuguaglianze e la trappola della povertà. Su questo fronte però l’Italia segna anche alcuni punti a suo favore, innanzitutto nel campo delle fonti rinnovabili, dove siamo tra i paesi più performanti, anche grazie al sistema delle incentivazioni. Si è inoltre registrato un rallentamento delle emissioni di gas serra. Buoni risultati anche per quanto riguarda le aree verdi nelle città, le aree marine protette e il patrimonio boschivo, che hanno registrato una crescita consistente.

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